di Átila Soares da Costa Filho / tradotto in italiano da Valéria Vicentini.
La ricerca di un legame tra il più grande artista sacro della storia e la più grande delle reliquie sacre ha tutte le potenzialità per essere vista come una necessità ancora da concretizzarsi nella scienza della biografia. Ciononostante, questo argomento è disprezzato nei circoli accademici - e non solo - per vari motivi. Come mai? Probabilmente la mancanza di materialità è il motivo principale. Ma una naturale associazione tra Michelangelo Buonarroti (1475-1564) e la Sacra Sindone sarebbe davvero fuori luogo? Così come per Leonardo, forse la totale mancanza di prove documentali che lo associano alla Sindone è dovuta a qualcosa di giustificabile (la cui ragione ci è celata) o semplicemente per mera casualità - ma "l'assenza di prove" non andrebbe confusa con la "prova dell'assenza". Fra l’altro, non ci sono nemmeno prove personali documentate che Michelangelo fosse omosessuale o che Leonardo abbia dipinto la Gioconda.
Da considerare che, non solo per entrambi, ma (praticamente) per qualsiasi altro artista del Rinascimento, un loro rapporto con la Sindone di Torino non è mai saltato fuori - come se il tema "Sindone" fosse naturalmente qualcosa da rimanere in segreto. Sarà stato semplicemente perché non ne erano a conoscenza o perché non erano mai entrati in contatto con la Sindone? Difficile da credere, dato che la fama di questa reliquia in Europa (e particolarmente in Italia) era davvero molto grande; inoltre, lo stretto rapporto fra le autorità ecclesiastiche e politiche e molti di questi grandi artisti era una costante, una conseguenza naturale dell'importanza delle loro attività. Basti pensare che il 96% delle opere di Michelangelo fu commissionato da papi e cardinali. Una spiegazione ovvia di tale silenzio potrebbe essere il fatto che, se fosse stato rivelato un legame tra l'artista e la Sindone, si sarebbe sospettato che la reliquia fosse, in realtà, un falso. Sicuramente, quella società non avrebbe tollerato frodi del genere e, anche se ci fossero copie "ufficiali" della Sindone esposte, queste sarebbero già riconosciute come repliche - con diritto al sigillo della Chiesa.
Da intellettuale attento al simbolismo religioso e alle questioni scientifiche dell'anatomia umana, sarebbe stato estremamente improbabile che la Sindone fosse passata inosservata a Michelangelo – lui, che frequentava i circoli più colti tra Roma e Firenze, desideroso di capire la Creazione e come l'evoluzione avesse scolpito le forme e i volumi della “macchina umana”. Imparare dalla nudità stessa del Figlio di Dio doveva essere per lui un viaggio verso il divino, il trascendentale.
Con queste nozioni in mente, ho deciso di intraprendere una ricerca avvalendomi di tutto il materiale che abbiamo a disposizione, di portarne altri alla luce e di cercare di rispondere alla domanda: se c’è stata davvero una relazione tra l’arte di Michelangelo e la Sindone, dove sarebbero registrate le prove che la confermerebbero? Evidenziate da testimonianze, spesso silenziose, nell’ambito dell’arte di colui che viene chiamato "Il Divino"? Un'analisi delle sue idee, codificate nella produzione artistica che lo ha immortalato e nei suoi scritti, potrebbe forse offrirci indizi capaci di rivelare una nuova percezione del Sacro interiore del genio.
Di seguito illustrerò sei argomenti a sostegno di un probabile legame tra il più grande artista sacro della storia e la più grande delle reliquie sacre.
Da considerare che, non solo per entrambi, ma (praticamente) per qualsiasi altro artista del Rinascimento, un loro rapporto con la Sindone di Torino non è mai saltato fuori - come se il tema "Sindone" fosse naturalmente qualcosa da rimanere in segreto. Sarà stato semplicemente perché non ne erano a conoscenza o perché non erano mai entrati in contatto con la Sindone? Difficile da credere, dato che la fama di questa reliquia in Europa (e particolarmente in Italia) era davvero molto grande; inoltre, lo stretto rapporto fra le autorità ecclesiastiche e politiche e molti di questi grandi artisti era una costante, una conseguenza naturale dell'importanza delle loro attività. Basti pensare che il 96% delle opere di Michelangelo fu commissionato da papi e cardinali. Una spiegazione ovvia di tale silenzio potrebbe essere il fatto che, se fosse stato rivelato un legame tra l'artista e la Sindone, si sarebbe sospettato che la reliquia fosse, in realtà, un falso. Sicuramente, quella società non avrebbe tollerato frodi del genere e, anche se ci fossero copie "ufficiali" della Sindone esposte, queste sarebbero già riconosciute come repliche - con diritto al sigillo della Chiesa.
Da intellettuale attento al simbolismo religioso e alle questioni scientifiche dell'anatomia umana, sarebbe stato estremamente improbabile che la Sindone fosse passata inosservata a Michelangelo – lui, che frequentava i circoli più colti tra Roma e Firenze, desideroso di capire la Creazione e come l'evoluzione avesse scolpito le forme e i volumi della “macchina umana”. Imparare dalla nudità stessa del Figlio di Dio doveva essere per lui un viaggio verso il divino, il trascendentale.
Con queste nozioni in mente, ho deciso di intraprendere una ricerca avvalendomi di tutto il materiale che abbiamo a disposizione, di portarne altri alla luce e di cercare di rispondere alla domanda: se c’è stata davvero una relazione tra l’arte di Michelangelo e la Sindone, dove sarebbero registrate le prove che la confermerebbero? Evidenziate da testimonianze, spesso silenziose, nell’ambito dell’arte di colui che viene chiamato "Il Divino"? Un'analisi delle sue idee, codificate nella produzione artistica che lo ha immortalato e nei suoi scritti, potrebbe forse offrirci indizi capaci di rivelare una nuova percezione del Sacro interiore del genio.
Di seguito illustrerò sei argomenti a sostegno di un probabile legame tra il più grande artista sacro della storia e la più grande delle reliquie sacre.
1) LA SINDONE È IL CENTRO DELLA PIETÀ. Non può passare inosservato che la presenza della Sindone - più o meno esplicita - finì per essere una costante nell'opera di Michelangelo, dato il livello di attenzione che l'artista dedicava al tema del Cristo morente. Nell'iconica Pietà Vaticana, il Sacro Telo Sindonico è presente proprio al centro della composizione, nell’ampio panneggio sulle gambe di Maria che tiene in grembo il Figlio morto. La Sindone è rappresentata anche nei dipinti sul tema della Deposizione di Cristo realizzati in base a disegni preparatori di Michelangelo e Jacopino del Conte e Marcello Venusti.
Sul tema della Pietà (Michelangelo ne ha realizzate quattro), è possibile trovare un altro elemento che evoca direttamente la Sindone, ad eccezione della Palestrina, dove esso non risulta molto evidente. Così, oltre al lenzuolo nella Pietà Vaticana, due delle altre tre varianti mostrano il volto di Cristo molto simile a quello della reliquia.
Sul tema della Pietà (Michelangelo ne ha realizzate quattro), è possibile trovare un altro elemento che evoca direttamente la Sindone, ad eccezione della Palestrina, dove esso non risulta molto evidente. Così, oltre al lenzuolo nella Pietà Vaticana, due delle altre tre varianti mostrano il volto di Cristo molto simile a quello della reliquia.
Alto il livello di corrispondenza tra i volti di Gesù, nella “Pietà Bandini” e nella sua ultima opera, non finita, la “Pietà Rondanini”, e il volto della Sacra Sindone: Michelangelo ne sarebbe venuto a conoscenza o avrebbe avuto un contatto più stretto con il più grande tesoro della cristianità? (IMMAGINI: Archivio privato - Átila Soares da Costa Filho / Mdig.com / Renata Testa)
La Pietà Bandini, commissionata da Francesco Bandini nel 1547, presenta l'autoritratto di Michelangelo nei panni di Nicodemo che sorregge il corpo esanime di Cristo. Lo scultore e architetto Tiberio Calcagni (1532-1565) fu incaricato di ripristinare i (soliti) segni di furia che Michelangelo aveva riversato sul marmo in questo imponente lavoro. L'opera ci trasmette un'atmosfera spirituale e drammatica, data l'età avanzata del suo autore, e oggi è conservata nel Museo dell'Opera del Duomo, a Firenze.
La Pietà Palestrina, realizzata in marmo e appartenente alla famiglia Barberini, risale probabilmente al 1556. Raffigura il momento esatto del distacco del corpo di Gesù calato dalla Croce e sostenuto dalla madre e dai suoi seguaci - qualcosa di rivoluzionario nell'arte della scultura fino a quel momento. Come detto, è l'unica versione che non presenta evidenti collegamenti con il Volto Santo. Si trovava all’interno della chiesa di Santa Rosalia, a Palestrina, e oggi appartiene alla collezione della Galleria dell'Accademia di Firenze.
E, infine, sempre in marmo, la Pietà Rondanini, iniziata nel 1552 e rimasta incompiuta per la morte di Michelangelo nel 1564. Interessante osservare che, oltre ad avvicinarsi allo stile gotico - per la scelta di rappresentare il dolore piuttosto che la bellezza - in questa versione è il figlio che sembra sostenere la madre, guardandoli da un altro punto di vista. Tuttavia, Michelangelo proietta il corpo di Cristo dal corpo stesso della madre, come se quest'ultima cercasse disperatamente di rianimarlo nell’attimo della sua morte. Una simbiosi perfetta tra Madre e Figlio, attaccati insieme… la stessa carne. Sebbene ritenuta non finita, è evidente la somiglianza del volto di Gesù con quello della Sindone. La sua ultima Pietà, straordinariamente commovente, è conservata oggi nel Museo del Castello Sforzesco, a Milano.
2) LA NUDITÀ DIVINA. È possibile che il solo fatto che il Figlio di Dio fosse completamente nudo nella Sindone abbia “scattato l’allerta” in Michelangelo. L'unione della pura divinità di Cristo con la Sua dimensione corporea umana e maschile sarebbe stato un evento perfetto in termini di sintesi dei valori e dei più grandi interessi spirituali della sua mente e della sua anima: un miracolo materializzato davanti a sé. In effetti, praticamente ogni volta che l'artista decise di raffigurare Cristo adulto, Lo presentò nudo o seminudo, sia in disegni, che in dipinti o sculture.
L’immagine più famosa è la figura di Cristo-Apollo al centro del Giudizio Universale (1535-1541), nella Cappella Sistina. In seguito, fu coperto (insieme agli altri personaggi nudi) con una striscia di stoffa dai pennelli di Daniele da Volterra, il suo più grande discepolo. Degno di nota è anche il Crocifisso di Santo Spirito, che scolpì nel 1492, all'età di 17 anni, per l'omonimo convento di Firenze.
Tra l'altro, la predilezione del Buonarroti per il corpo del Messia era così grande che, nello schizzo preparatorio della Pietà per Vittoria Colonna, segue un fatto curioso. ll disegno (oggi al Museo Isabella Stewart Gardner di Boston) fu eseguito nel 1538 dal maestro come dono per la sua musa platonica e grande compagna intellettuale, la poetessa Vittoria Colonna, marchesa di Pescara. Tuttavia, c'è un acceso dibattito se il relativo dipinto sia giunto fino a noi. Nel 2010, i media hanno diffuso la notizia di un forte candidato per l'"originale perduto", di proprietà privata, a Buffalo (New York). Nel 2023 ho avuto l'opportunità di effettuare delle analisi su buone riproduzioni del dipinto, utilizzando un programma di intelligenza artificiale, sviluppato in parte da me. Questa particolare metodologia - denominata "Luminari" - comprende una serie di test effettuati con l'ingegneria del Machine Learning, seguendo rigorosi standard accademici. Quindi, ho verificato curiosamente che in tale dipinto, su disegno della Pietà per Vittoria Colonna, il corpo seminudo di Cristo sarebbe di mano di Michelangelo con una percentuale di corrispondenza del 77% - dato che il 75% è il minimo stabilito per qualsiasi test di autenticità. E il probabile coautore sarebbe Marco Pino (Marco di Giovan Battista), un discepolo di Michelangelo, noto anche come "Marco da Siena" (1521-1583), con una significativa percentuale del 98% sul resto dell'opera. A quanto pare, il poliedrico artista si sarebbe occupato personalmente della "ciliegina sulla torta", cioè del corpo di Cristo.
3) CRISTO ORANTE. Colpisce l'inquietante somiglianza tra il volto di Cristo del disegno di Michelangelo, Cristo in preghiera nell'Orto degli Ulivi (che oggi si trova, in cattivo stato di conservazione, agli Uffizi di Firenze), e le successive versioni pittoriche dei suoi seguaci, come Marcello Venusti, che, inoltre, fu amico stretto di Michelangelo.
“Orazione nell’orto del Getsemani” (particolare): volto frontale e occhi chiusi di Cristo nel dipinto di Marcello Venusti su disegno di Michelangelo. Interessante notare come la punta dell'indice sinistro del Messia "tocchi" esattamente la linea della scollatura, come a dire: "guardate qui" - in altre parole, questo è "il limite" / L’altra metà / L’altissima corrispondenza si conferma anche in altre versioni del Venusti (fig. qui sopra) - IMMAGINI: Átila Soares / Wikimedia / Palazzo Barberini / Spoleto / Massimo Gaudio.
Da appassionato di immagini contorsioniste, dinamiche e vibranti, era piuttosto insolito che Michelangelo scegliesse di rappresentare un volto statico, in uno stato assolutamente frontale e protocollare. Richiamo, inoltre, l'attenzione su quanto fosse raro, nell'arte rinascimentale, presentare Cristo in preghiera con gli occhi chiusi - proprio come nella Sindone - nell'episodio neotestamentario dell'agonia nel Getsemani. Un progetto, dunque, consapevolmente ispirato al volto sindonico sembra avere senso e spiegherebbe tale scelta.
4) IL GIUDIZIO UNIVERSALE COME IL VOLTO DELLA SINDONE. Nel 2012, l'agente speciale in pensione dell'FBI, Philip Dayvault ha pubblicato una teoria sorprendente: l'intera composizione del Giudizio Universale nella Cappella Sistina sarebbe, in realtà, una rappresentazione del volto dell'"Uomo della Sindone". Sebbene l'idea dell'affresco come volto fosse già stata avanzata dalla scrittrice Sue Binkley Tatem, è stato Dayvault a dare una "identità" all'enigmatico volto tracciando alcune analogie grafiche tra alcuni segni nel tessuto e dettagli nel "Giudizio" - qualcosa di molto improbabile da produrre solo per semplice coincidenza.
Per chiunque abbia un minimo di ragionevolezza, tutta la geometria e l'insieme delle evidenze raccolte da Dayvault sembrano degni di una certa attenzione.
5) IL NOTEVOLE “MICHELANGIOLESCO". Curiosamente, uno dei più importanti seguaci di Michelangelo fu il croato Giulio Clovio (1498-1578), il cui nome sarà irreversibilmente associato alla Sindone per l'eternità. A lui si deve infatti un dipinto del 1540 (conservato nella Galleria Sabauda di Torino) che è l'immagine iconografica più famosa della Sindone, seconda solo alla celebre fotografia scattata da Secondo Pia nel 1898, che ha rivelato l'immagine in negativo con una ricchezza di dettagli degna di un miracolo. Come se non bastasse, probabilmente verso la fine della sua vita, questo discepolo fu anche responsabile della creazione di una "nuova Sindone" o di una reliquia sindonica di "seconda generazione", ovvero: utilizzando tecniche pittoriche, Clovio fu in grado di riprodurre l'immagine della Sindone su un altro telo, precedentemente "calamitato" (toccato) sulla reliquia originale, in modo da ottenere due reliquie - e non più una sola. L'intero processo, o "ritualizzazione", che comportava la produzione di copie, acquisiva una dimensione alchemica - infatti, il vero potere e l’ultimo scopo dell'alchimista era il "rinnovamento", in altre parole, una "resurrezione". Questa "seconda reliquia" di Clovio è considerata una delle repliche più perfette della Sindone (oggi sono 135) mai prodotte ed è oggi conservata nel Convento di Santo Domingo a Santiago del Estero, in Argentina.
6) CELARE ELEMENTI. La rivalità tra il genio di Michelangelo e quello di Leonardo è ormai nota, ma, proprio per questo, le critiche e gli screzi tra i due hanno regalato all'umanità dei capolavori. Per comprendere meglio uno degli elementi più rivelatori alla base del mio discorso, vorrei approfondire una questione che riguarda l'opera di Leonardo.
Sappiamo che uno dei suoi progetti più emblematici, l'Ultima Cena, racchiude un mare apparentemente infinito di interpretazioni religiose ed esoteriche. E seguendo questa pista, ho scoperto da poco quale potrebbe essere il vero significato di questo misterioso dipinto. Oggettivamente parlando, ho potuto identificare sul Cenacolo che il gruppo degli Apostoli con Gesù formano il contorno del corpo di Cristo morto, identico a quello della Sindone. In altre parole, la "Cena" è, in realtà, la stessa Sindone. L'effetto visivo è più evidente mediante la sfocatura dell’insieme, con Gesù e gli Apostoli uniti, dove possiamo notare la figura di un corpo umano disteso sul tavolo – esattamente come l’immagine dell'uomo impressa sulla Sindone.
Le ragioni su cui si basa questa nuova visione dell'Ultima Cena non mancano: il volto della Sindone era già stato individuato in questo dipinto, sulla parete sinistra, sopra e tra le teste di San Bartolomeo e San Giacomo il Minore - forse per indicare da quale lato del tavolo si trovava la testa del corpo "codificato". Un altro fattore è l’ipotesi, sostenuta da decennali studi, che la tovaglia che ricopre il tavolo sul dipinto sia, in realtà, la Sacra Sindone. Questa è la tesi difesa dall'archeologa e critica d'arte Yasmin von Hohenstaufen, nonché dal medico e scrittore Gabriele Montera. Quest'ultimo ha persino presentato una corrispondenza dimensionale precisa tra il telo della Sindone e la tovaglia del capolavoro vinciano. Ricordo, al riguardo, che sono stato io a scoprire il corpo dell'"uomo della Sindone" anche tra i capelli del Cristo di Lecco, un disegno a sanguigna del XVI secolo fortemente attribuibile a Leonardo.
Successivamente, trovando strano che la tovaglia non presentasse nessuno dei segni della Passione, ho dedotto che questi dovrebbero essere da qualche altra parte nella composizione. E allora ho capito che il corpo poteva essere semplicemente raffigurato disteso sulla tovaglia/sindone. Se la mia ipotesi è corretta, nulla di più coerente che il corpo spettrale del Messia faccia parte e venga presentato in modo discreto e poetico in questo modo. L'immagine parla da sé: la conformazione dei personaggi nel Cenacolo ha un altissimo livello di corrispondenza con quello che doveva essere il corpo impresso sulla Sindone. Pur consideriamo che le ricostruzioni artistico-forensi del corpo impresso sulla reliquia variano leggermente l'una dall'altra (soprattutto nei piedi), l'aspetto generale indica un'immensa somiglianza con l'iconico dipinto di Leonardo - il che suggerisce fortemente che non solo l'artista fosse a conoscenza della Sindone, ma ne nutriva un grande interesse.
Tenendo presente che sia Leonardo che Michelangelo - proprio per il loro spirito competitivo - cercavano di conoscere i progetti e le opere dell'avversario, possiamo pensare che il secondo, dopo essersi imbattuto in questo tema sindonico, si sia servito dell'ispirazione del primo per celare elementi nelle sue opere (nella Cappella Sistina, per esempio). Così, con la stessa formula, Michelangelo avrebbe potuto distribuire, qua e là, più volumi a insinuare vari organi dell'anatomia umana.
Una scoperta incredibile in tal senso è stata fatta nel 1990, in fasi diverse, da quattro medici - due americani e due brasiliani: rispettivamente il neurologo Frank Lynn Meshberger, il nefrologo Garabed Eknoyan, il chirurgo oncologico Gilson Barreto e il chimico Marcelo Ganzarolli de Oliveira. Se interconnettiamo tutti questi fattori, arriviamo alla logica conclusione che Michelangelo potrebbe essere venuto a conoscenza della Sindone anche attraverso la scatola di sorprese di Leonardo.
Se si tratta di qualcosa di intenzionale da parte di Leonardo e Michelangelo, la pratica di celare elementi e riferimenti nelle loro creazioni è un fatto già molto considerato nel mondo accademico, un modo di “destare l’ingegno”, come afferma Leonardo stesso nel Trattato della Pittura (parte seconda, 63):
“Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de' muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli, o fanghi, od altri simili luoghi, ne' quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l'ingegno del pittore a nuove invenzioni sì di componimenti di battaglie, d'animali e d'uomini, come di vari componimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti onore; perché nelle cose confuse l'ingegno si desta a nuove invenzioni.”
Anche Michelangelo avrebbe potuto avvalersi di tutto ciò come esercizio di percezione o di ragionamento. Un potenziale gioco per rendere un’opera più ricca e interessante - per di più in un’epoca in cui la dissezione dei corpi umani era un'attività molto rischiosa e la cui autorizzazione, per scopi scientifici, Michelangelo era riuscito a negoziare con la Chiesa. Nel caso della Sindone, sarebbe un discorso di superamento della morte, di alchimia, di resurrezione, dell'impegnativa metamorfosi in cui la passione diventa gioia e la fine si trasforma in rinascita.
Le evidenze qui illustrate e analizzate - con l'aiuto di un modello di Intelligenza Artificiale di recente sviluppo - rivelano un nuovo panorama basato sull'alta probabilità, qui dimostrata, che Michelangelo Buonarroti non solo fosse consapevole dell’esistenza della Sindone, ma fosse interessato a includerla nella sua opera. Sono tracce autoriali e ulteriori indicazioni simboliche che acquistano significato ed emergono come testimonianza silenziosa dell'arte, resa strumento di meditazione sui misteri della ruota invisibile della vita.
FIGURA IN ALTO: La Pietà di Michelangelo, Basilica di San Pietro - Vaticano (Flickr / S.Vazquez).